“Qual è il tuo sogno?” L’amazzone con la sigaretta accesa. “Qual è il tuo sogno?” L’interrogatorio era appena iniziato. Di nuovo, “Qual è il tuo sogno?” ma stavolta non stava parlando. La gola vuota di parole. Pensavo avrei rivisto la mia vita solo in punto di morte, invece era bastata una domanda diretta. L’eco si mescolava al silenzio delle mie tempie. Presi qualche parola in prestito dai colloqui di lavoro, ne venne fuori un raccontino flaccido, totalmente assente. Avevo già perso il ritmo. “Qual è il tuo sogno?”. Mi aggrappai al pensiero di averne diversi, rassicuranti, docili, estremamente raggiungibili o fiabescamente impossibili, ma non era sufficiente, per me non era sufficiente.
Quando nasce la frattura tra sogno e volontà? Quando, oggettivamente, lo spirito capisce che la volontà può sopperire il sogno? In un attimo mi sembrò di non aver vissuto. Un presente vuoto, senza slanci, solo esercizi. Pensai ai miei piedi, alle mie mani, la carne, mi resi conto di aver dimenticato il mio corpo. Esercizi, trappole mentali per sostenere gli atti della vita quotidiana. “CIAO” mi venne in mente un Lucio Dalla post industriale in villeggiatura nell’orrore, “la colpa è di… non so di chi”, d’un tratto ero con lui a ballare.
Un dolore fortissimo ad un fianco, “Qual è il tuo sogno?”, era diventato una specie di peso sulla milza. Mi sentii quasi male, la temperatura si era alzata, la luce nella strada mi accecava ed un acre odore di pesce trasudava dai muri. La resistenza alla risposta iniziava a stupire anche me. Dovevo prendere una decisione, parlare. Sentii un rimbalzo e il suono di due piccoli schiaffi. Mi girai verso la luce, una sagoma poco più alta di me si stagliava leggera. Non disse niente recuperò la palla. Aveva occhietti decisi e bellissimi codini. Mi ritrovai piccola e sciabattante in giro per un cortile con l’entusiasmo del primo pomeriggio. Una domanda per ogni corsa. La testa dei piccoli emana naturale purezza che solo pochi riescono a preservare. Questa volta riuscìi io: “Qual è il tuo sogno?”. La domanda le mise un broncio simpatico. La palla roteò tra due ditina a punta, come se avesse girato la terra, il suo oracolo per darmi una risposta. “Essere bella come una fata e poter saltare tanto…mmm…così”. La sua mano arrivo il più lontano possibile dai codini. Una risatina ed era già sparita. L’amazzone era visibilmente annoiata. “Siamo state via fin troppo.” Si alzò di scatto, spostando la sua enorme borsa da mare ancora premuta sul mio fianco. Non ebbi il tempo di chiarire la mia totale assenza che mi ritrovai in piedi. Girammo l’angolo e ci trovammo nella frenesia del porto.
Io ero ancora lì “Qual è il mio sogno?”.